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I minatori in lotta alla luce del sole

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Scritto da Federica Bassi, giornalista di Area

Reportage da Airolo, dove i lavoratori del sotterraneo hanno scioperato per migliori condizioni d'impiego e per difendere il Contratto nazionale.

Tratto da Area

AIROLO – 4 novembre, ore 4:27. Caseificio San Gottardo. Zero gradi centigradi. Un drappello di sindacalisti organizza le ultime cose – bandiere, striscioni, «guanti da lana e gipunìn» – e parte verso il cantiere Sud del raddoppio della Galleria. Si va a incontrare i minatori, che oggi si mobiliteranno in difesa del Contratto nazionale mantello dell’edilizia: per una maggior conciliabilità tra lavoro e vita privata e per migliori condizioni d’impiego nel settore in generale, che frenino l’emorragia di operai qualificati che lasciano la Svizzera preferendo cantieri europei più attrattivi.

L’alba non arriva in fretta: le ore trascorse alle barriere d’entrata del cantiere sono lunghe e gelide. Alle 5:30 cominciano a vedersi, in lontananza, i fari dei furgoncini sui quali si trovano gli operai che dovrebbero iniziare il turno. Uno di loro abbassa il finestrino e dice, smagliante, «Oggi si sciopera!», mentre altri colleghi che hanno appena finito di lavorare – l’elmetto impolverito, le gambe appesantite – salutano e vanno verso casa per godersi il meritato riposo. Ma solo per un paio d’ore: poi, prenderanno parte a loro volta alla protesta. C’è spirito di partecipazione, tra gli operai. All’entrata del cantiere presso la quale ci troviamo, oltre una squadra intera decide di mobilitarsi. Sono le 6 passate, è ancora buio pesto. Altri minatori parlano fra loro, sembrano discutere sul da farsi. Un ragazzo è fermo immobile, appoggiato al furgoncino; è di origini slovacche, non parla l’italiano, ma i suoi occhi azzurri e le mani ruvide, le dita gonfie e indurite dal lavoro, comunicano benissimo: è titubante, sembra spaventato, rimugina sul dubbio. In quel momento il capogruppo arriva, frettoloso e aggressivo, e in tedesco urla addosso al ragazzo e ai suoi compagni frasi che non riusciamo a capire. Non è necessario, talmente il risultato è immediato: i lavoratori si affrettano a caricarsi in spalla gli zaini e a marciare verso l’entrata. Facciamo un timido sorriso al giovane a cui è stata sottratta la possibilità di finire il suo ragionamento; lui abbassa lo sguardo, scuote la testa – imbarazzato e nervoso – e sparisce dietro la transenna. Il capogruppo lo segue, sparendo a sua volta, mentre altri operai decisi ad astenersi dal lavoro rimangono lì, in silenzio, guardandolo passare. Il cantiere è anche questo: avere paura, subire intimidazioni quando si cerca di far valere i propri diritti e le proprie rivendicazioni. Mentre una ruspa inizia a scavare, in mezzo a un cantiere spoglio, il cielo sta schiarendo.

Alle 10 del mattino, al Caseificio, sono un centinaio gli operai presenti, alcuni arrivati dal portale Nord di Göschenen. Mentre si beve il caffè, si parla del cantiere e si scherza, noi cerchiamo di capire cosa ha portato questi lavoratori a impegnarsi attivamente per cambiare le cose. «È un settore in cui, negli ultimi anni, ho visto aumentare la precarietà. Molti operai lavorano tramite agenzia, e a volte trascorrono anni interi vedendosi rinnovare il contratto ogni 3-6 mesi. È una tendenza che mi preoccupa» ci dice Roberto, 53 anni, operaio sul cantiere del portale Nord. «In più, manca personale. Le imprese assumono meno, il numero di squadre diminuirà ancora, e quindi aumenterà di nuovo il carico di lavoro per noi. Guardati attorno: i capelli sono quasi tutti grigi, è un settore in cui c’è bisogno di giovani, ma non ne arrivano. Quelli di loro che iniziano il mestiere, visto che spesso sono precari e poco seguiti, non si sentono considerati, arrivando comprensibilmente a chiedersi chi glielo fa fare». Umberto e Marco, suoi colleghi sulla cinquantina che fanno il mestiere da quando erano poco più che venticinquenni, sono d’accordo con lui. Marco indica un punto lontano della tavolata e ci dice: «Quello è mio fratello, anche lui è minatore. Siamo nati entrambi ad Airolo perché anche nostro padre era un operaio di cantiere: ha preso parte alla costruzione del tunnel autostradale». «Il nostro è un lavoro duro – prosegue –, sappiamo quali rischi corriamo. Oggi non sono qui per me, ma per chi verrà dopo: sulla sicurezza e sulla formazione bisogna insistere, perché questo non è un mestiere che si improvvisa». Roberto gli dà ragione: «L’organizzazione e la gestione del lavoro è peggiorata, negli anni, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di qualità e di motivazione: se ci fosse, da parte dei capi, almeno un po’ più di considerazione, ci si alzerebbe la mattina più tranquilli. In queste condizioni, invece, finisci a fare le cose di malavoglia». Umberto, finora rimasto ad ascoltare, riflessivo, esordisce infine così: «Abbiamo delle buone condizioni, tutto sommato, ma adesso bisogna aggiungerne, non toglierne! Lo stipendio, per esempio: non è normale che in tanti anni sia cresciuto così poco».

La questione dello stipendio è centrale anche per il sindacato Unia. Durante l’assemblea unitaria delle 11, sempre al Caseificio del Gottardo, il sindacalista Gianluca Bianchi esordisce infatti così: «Nel 1970, un minatore prendeva 1 franco d’indennità all’ora per il turno di notte. Oggi, se ne prendono 2. Chi ha scavato il primo tunnel, nell’800, prendeva 80 centesimi l’ora. Possiamo quindi dire che le conquiste e i miglioramenti in ambito salariale dei minatori sono praticamente nulle». Dall’assemblea scaturisce quindi una risoluzione interamente incentrata sull’urgenza di far fronte alla reale necessità di arginare ogni tentativo di peggiorare ulteriormente una situazione già fragile: “Dall'inizio del 2025 – si legge – sindacati e lavoratori edili attendevano l'apertura di discussioni serie sulle condizioni di lavoro nel sotterraneo, questo dopo un anno di lavoro sindacale per raccogliere le principali rivendicazioni dei minatori. Una prima discussione è avvenuta soltanto al 29 ottobre (con 2 mesi ritardo rispetto a quanto previsto) in un clima di forte preoccupazione per il futuro del Contratto nazionale mantello. La Società svizzera degli impresari costruttori (SSIC) con la propria proposta per un nuovo Contratto nazionale mantello, infatti, rischia di vanificare qualsiasi possibile soluzione di miglioramento delle condizioni di lavoro”. Nella risoluzione, quindi, oltre a rivendicare le misure di miglioramento proposte dai sindacati, i lavoratori rifiutano di nuovo le proposte al ribasso del Contratto nazionale mantello portate avanti dalla SSIC e insistono sulla necessità che anche le imprese si espongano finalmente in favore di un miglioramento delle condizioni che “permetta loro di reperire (e non perdere) la manodopera qualificata”. «Solo così – conclude Gianluca Bianchi – si potrà proseguire, in sicurezza, la costruzione di grandi opere in Svizzera. Altrimenti, le gallerie torneranno a essere fatte da personale non preparato, e allora vedremo spuntare, nei pressi dei cantieri, i cimiteri. Non è quello che vogliamo. I minatori si trovano davanti a un bivio: ottenere un miglioramento inedito delle loro condizioni d’impiego, o perdere tutto. Portiamo insieme questo messaggio alla SSIC».

Detto, fatto: dopo pranzo, un pullman parte da Airolo alla volta della sede della Società degli impresari costruttori di Bellinzona. Poco prima delle 16, mentre i lavoratori che si sono avventurati fin quaggiù aspettano all’esterno, i sindacalisti Unia consegnano la risoluzione direttamente nelle mani del direttore della SSIC-TI Nicola Bagnovini. «A differenza di altre occasioni – spiega Gianluca Bianchi – il clima di questo incontro è rimasto buono per tutto il tempo, questo perché è difficile contrastare le ragioni che ci muovono. Anche gli impresari sanno che, di questo passo, tra 10-15 anni non ci saranno più minatori. Come sanno, del resto, che se non si troverà una soluzione degna per un nuovo Cnm ci troveremo con un vuoto contrattuale a partire dal 2026 che spingerà molti lavoratori a cercare impiego altrove». La risoluzione verrà ora inoltrata agli organi nazionali della SSIC. «Queste condizioni per noi non vanno bene – sbotta un minatore –, quindi non si firma, non si molla e si continua a scioperare». È così: mentre il sole del tardo pomeriggio colora il cielo d'arancione, la giornata di mobilitazione, ad Airolo, prosegue. «Noi abbiamo finito il turno stamattina alle 6 – ci dice un operaio –, stasera dovremmo riprendere a lavorare. Ma non lo faremo».

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