Il Congresso femminista dell’USS rilancia con forza la lotta per la giustizia nel lavoro. Basta compromessi, basta attese, basta diritti “a metà”. Con il documento «Per posti di lavoro sani, senza discriminazioni e adeguatamente retribuiti!», sindacaliste e delegate da tutta la Svizzera hanno affermato ciò che è evidente da anni: il mondo del lavoro continua a poggiare sulle spalle delle donne, mentre le ingiustizie si moltiplicano. E le lavoratrici non intendono più tollerarlo.
Uno dei temi centrali del Congresso è stato quello delle molestie sessuali e della violenza sul lavoro, fenomeni troppo spesso banalizzati come semplici fraintendimenti. In realtà, come hanno ricordato molte delegate, dietro ogni “incidente” ci sono storie di quotidiana umiliazione: apprendiste del settore sanitario costrette a sopportare commenti sul proprio corpo da parte di colleghi più anziani; giovani impiegate nella vendita che devono difendersi da clienti molesti mentre la direzione si limita a invitare alla “pazienza”; lavoratrici dell’amministrazione pubblica che, dopo aver respinto un comportamento inappropriato, vengono isolate dai colleghi o spostate di ruolo. A tutto questo si affiancano le testimonianze delle persone LGBTQIA+, che raccontano come derisioni, misgendering e pressioni psicologiche non siano episodi sporadici ma esperienze ricorrenti.
Di fronte a questa realtà, il Congresso ha rivendicato misure precise. È emersa con forza la necessità di sportelli indipendenti a cui potersi rivolgere senza paura e di procedure chiare che impediscano alle denunce di essere insabbiate. Le delegate hanno insistito sulla creazione di ambienti in cui chi segnala una violenza non debba temere ritorsioni, sulla formazione obbligatoria dei quadri e sull’inserimento di norme vincolanti nei contratti collettivi. L’obiettivo è garantire che nessuna lavoratrice debba più scegliere tra la propria sicurezza e il proprio posto di lavoro.
Il Congresso ha anche allargato lo sguardo oltre i luoghi di lavoro. Molte donne hanno raccontato come la violenza sia presente anche nei tragitti casa-lavoro, soprattutto per chi rientra tardi la sera. C’è chi evita alcune tratte perché troppo isolate, chi cambia percorso per sfuggire alle molestie verbali, chi teme ogni volta di attraversare il parcheggio dell’azienda. Da qui la richiesta di trasporti pubblici più sicuri e frequenti, di spazi meglio illuminati, di protocolli per chi lavora di notte o viaggia da sola.
Accanto al tema della violenza, il Congresso ha messo al centro un’altra ingiustizia strutturale, quella della discriminazione salariale. I dati dell’USS e della statistica federale lo confermano: il divario salariale non solo persiste, ma è più marcato proprio nei settori dove lavorano prevalentemente donne. Le delegate hanno portato esempi emblematici: educatrici dell’infanzia che guadagnano molto meno dei colleghi maschi in professioni tecniche con lo stesso livello di formazione; addette alle pulizie che lavorano con orari frammentati e salari troppo bassi per vivere; infermiere e operatrici sociosanitarie che svolgono un lavoro essenziale ma continuano a essere retribuite come se il loro fosse un servizio “naturale”; cassiere e venditrici che, nonostante l’elevata professionalità richiesta, si ritrovano fra le categorie più penalizzate.
Questi esempi mostrano con chiarezza che la discriminazione salariale è costruita su una svalutazione storica del lavoro femminile. Per questo il Congresso chiede aumenti salariali nei settori femminilizzati, salari minimi più elevati, controlli sistematici sulla parità salariale e investimenti pubblici nella cura e nell’assistenza, affinché il lavoro delle donne sia finalmente riconosciuto per il suo enorme valore sociale ed economico. Le delegate hanno ricordato anche la necessità di misure che tengano conto del lavoro non retribuito, che continua a pesare in modo sproporzionato sulle donne, limitando le loro possibilità professionali ed economiche.
Il Congresso femminista dell’USS ha gettato le basi per nuove mobilitazioni e campagne che non chiedono concessioni, ma pretendono diritti. Dalle lotte per la sicurezza e la salute, alla parità salariale, fino alla dignità nei rapporti di lavoro, il messaggio che ha attraversato l’intero Congresso è stato inequivocabile:le lavoratrici non mendicheranno più ciò che spetta loro di diritto.
Il congresso femminista dell’USS ha inoltre deciso di organizzarsi in un nuovo grande sciopero nazionale il 14 giugno 2027.
